Paolo VI

Paolo VI

 

Giovanni Battista Montini nacque il 26 settembre 1897 a Concesio, un piccolo paese all'imbocco della Valtrompia, a nord di Brescia, dove la famiglia Montini, di estrazione borghese, aveva una casa per le ferie estive.
 
I genitori, l'avvocato Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, si erano sposati nel 1895 ed ebbero tre figli: Ludovico, nato nel 1896, che divenne avvocato, deputato e senatore della Repubblica, morto nel 1990, Giovanni Battista e, nel 1900, Francesco, medico, morto improvvisamente nel 1971. Il padre, al momento della nascita del futuro pontefice, dirigeva il quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia, e fu poi nominato deputato per tre legislature nel Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo; Giorgio Montini e Giuditta Alghisi morirono entrambi nel 1943 a pochi mesi di distanza.
 
Nel 1903 venne iscritto come studente esterno (a causa della cagionevole salute) nel collegio "Cesare Arici" di Brescia, retto dai padri Gesuiti. In questa medesima scuola, frequentò fino al liceo classico, partecipando attivamente ai gruppi giovanili degli oratoriani di Santa Maria della Pace.
Nel 1907 compì il suo primo viaggio con la famiglia a Roma, in occasione di un'udienza privata di papa Pio X. Nel giugno dello stesso anno gli vennero impartiti i sacramenti della prima comunione e della cresima.
Nel 1916 ottenne la licenza presso il liceo statale "Arnaldo da Brescia" e nell'ottobre dello stesso anno entrò, sempre come studente esterno, nel seminario della sua città. Dal 1918 collaborò con il periodico studentesco La Fionda, pubblicando numerosi articoli di notevole spessore. Scrisse, ad esempio, nei primi di novembre del 1918:
« Guai a chi abusa della vita. Quando la creatrice mano di Dio delineava in un ordine meraviglioso i confini della vita, poneva altresì custode di questi confini la morte, vindice di quanti li avrebbero varcati in cerca di vita più ampia, di felicità maggiore. »
Nel 1919 entrò nella FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).
 
Il 29 maggio del 1920 ricevette l'ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Brescia; il giorno successivo celebrò la sua prima Messa nel Santuario delle Grazie.
Nel novembre dello stesso anno si trasferì a Roma. Si iscrisse ai corsi di Diritto civile e di Diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana ed a quelli di Lettere e filosofia all'Università statale.
Nel 1923 viene avviato agli studi diplomatici presso la Pontificia accademia ecclesiastica. Iniziò così la sua collaborazione con la Segreteria di stato, per volere di papa Pio XI. Fu inviato a Varsavia per cinque mesi (giugno-ottobre 1923) come addetto alla nunziatura apostolica. Rientrato in Italia, nel 1924 conseguì tre lauree: in Filosofia, Diritto Canonico e Diritto civile.
Nel 1925 venne nominato Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI. Collaborò a fianco del Presidente nazionale Igino Righetti, che era stato nominato nello stesso anno.
Collaborazione con Pio XI e Pio XII [modifica]
Nel 1931 Montini venne incaricato di visitare celermente Germania e Svizzera, per organizzare la diffusione dell'enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale Pio XI condannava lo scioglimento delle organizzazioni cattoliche da parte del regime fascista. Nel frattempo Montini continuava anche ad essere assistente nazionale della FUCI, ma nel 1933 lasciò l'incarico, sia per i sempre maggiori impegni in Segreteria di stato che per l'opposizione di correnti clericali contrarie alla sua formazione culturale[senza fonte].
Il 13 dicembre 1937 venne nominato sostituto della Segreteria di Stato; iniziò a lavorare strettamente al fianco del cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli. Il 10 febbraio 1939, per un improvviso attacco cardiaco, Pio XI morì[1]. Alle soglie della seconda guerra mondiale, Eugenio Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII.
Poche settimane dopo, Montini (sempre con il ruolo di sostituto) collaborò alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli del 24 agosto per scongiurare lo scoppio della guerra, ormai imminente; sono sue le storiche parole:
« Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra »
Durante tutto il periodo bellico svolse un'intensa attività nell'Ufficio informazioni del Vaticano per ricercare notizie su soldati e civili. Il 19 luglio 1943 accompagna Pio XII nella visita al quartiere San Lorenzo colpito dai bombardamenti alleati. Nel 1944, alla morte del cardinale Luigi Maglione, il futuro papa assunse la carica di pro-segretario di Stato; insieme a Domenico Tardini (futuro segretario di stato di Giovanni XXIII), Montini si trovò a lavorare ancora più a stretto contatto con Pio XII.
 
In questo periodo fu l'oscuro organizzatore delle trattative che la principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, in tutta segretezza andava allestendo con gli Americani per giungere ad una pace separata. I Savoia cercavano infatti di sganciarsi da Benito Mussolini, per potersi distinguere dagli autori della prevista disfatta e garantirsi quindi la sopravvivenza politica a guerra conclusa. Il ruolo di Montini era proprio quello del mediatore che ricercò i contatti e condusse gli incontri.
Va ricordato inoltre che la guerra fu occasione di violentissime polemiche relative al ruolo della Chiesa, e in particolare di Pio XII. In sostanza il papa fu accusato di aver mantenuto verso i tedeschi, cioè verso il Nazismo, un atteggiamento troppo distaccato, anzi sospetto di collaborazionismo. Montini fu investito appieno dalla tempesta, stante la centralità della sua posizione e la sua strettissima vicinanza al Papa, e si trovò a dover difendere se stesso ed il Pontefice dalle accuse di filo-nazismo. Il sospetto veniva poi accresciuto dalla considerazione degli esiti delle dette trattative di Maria José, il cui eventuale successo sarebbe stato contrario agli interessi di Berlino.
Per contro, va anche menzionato che Montini si occupò più volte e a vario titolo dell'assistenza che la Chiesa forniva ai rifugiati ed agli ebrei (ai quali distribuì ripetute provvidenze economiche a nome di Pio XII), oltre ai 4.000 ebrei romani che la Chiesa di nascosto riuscì a salvare dalle deportazioni, azione che, secondo alcuni studiosi, la Chiesa non avrebbe potuto compiere se si fosse schierata apertamente contro la potenza bellica tedesca.
Al termine della seconda guerra mondiale, Montini era in piena attività per salvaguardare il mondo cattolico nello scontro con la diffusione delle idee marxiste; ma in modo meno aggressivo rispetto a molti altri esponenti.[2] Nelle elezioni amministrative del 1952 non fece mancare il suo appoggio ad uno dei politici che stimava di più, Alcide De Gasperi.
Il 29 novembre fu nominato pro-segretario di Stato per gli Affari straordinari.
Arcivescovo di Milano [modifica]
 
Il 1º novembre 1954, dopo la morte di Alfredo Ildefonso Schuster, Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano. A molti questo parve un allontanamento dalla Curia romana, perché improvvisamente egli venne estromesso dalla Segreteria di stato e assegnato all'arcidiocesi ambrosiana per precise disposizioni di papa Pacelli[3].
Tuttavia non esistono dati storicamente certi per interpretare questa decisione del Pontefice; ci fu chi parlò di “esilio” dalla Santa Sede, dando dunque una connotazione negativa alle disposizioni di papa Pacelli, però questa ipotesi non è l'unica né la più attendibile: il filosofo Jean Guitton ne parla in altri termini: la nuova missione che veniva affidata a Montini doveva essere una sorta di prova per verificare la sua forza e il suo carattere pastorale.
 
 
Mons. Giovanni Battista Montini
Montini fu consacrato vescovo il 12 dicembre in San Pietro dal cardinale Tisserant. Come arcivescovo di Milano seppe risollevare le precarie sorti della Chiesa lombarda in un momento storico difficilissimo, in cui emergevano i problemi economici della ricostruzione, l'immigrazione dal sud, il diffondersi dell'ateismo e del marxismo all'interno del mondo del lavoro. Se anche la grande Missione da lui proposta non ebbe il successo sperato, seppe coinvolgere anche le migliori forze economiche nel risollevamento della Chiesa; cercò il dialogo e la conciliazione con tutte le forze sociali e avviò una vera e propria cristianizzazione delle fasce lavoratrici, soprattutto attraverso le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (ACLI); e questo gli garantì notevoli simpatie.
La nomina a cardinale e l'elezione [modifica]
 
 
Alla morte di Pio XII, il conclave elesse papa, il 28 ottobre 1958, l'anziano Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, il quale aveva grande stima di Montini, (fra i due vi era una consolidata amicizia fin dal 1925), tanto che lo inviò in molte parti del mondo a rappresentare il papa.
Montini fu il primo cardinale nella lista dei porporati creati da Giovanni XXIII nel Concistoro del 15 dicembre 1958. Del resto avevano avuto stretti rapporti di collaborazione quando erano entrambi arcivescovi, come testimonia una lettera quasi profetica, inviata da Roncalli a Montini nel giorno della sua consacrazione episcopale:
« Compiremo insieme il sacramentum voluntatis Christi di san Paolo (Efesini 1,9-10). Esso impone l'adorazione della croce, ma ci riserba, accanto ad essa, una sorgente di ineffabili consolazioni anche per quaggiù, finché ci durerà la vita e il mandato pastorale. Cara e venerata Eccellenza, non so dire di più. Ma ciò che manca ad un più diffuso eloquio, Ella me lo legga nel cuore »
(Lettera di Roncalli a Montini, 12 dicembre 1954)
Il breve ma intenso pontificato di Giovanni XXIII vide Montini attivamente coinvolto, soprattutto nei lavori preparatori del Concilio Vaticano II, aperto con una solenne celebrazione l'11 ottobre 1962. Il concilio però si interruppe il 3 giugno 1963 per la morte di papa Roncalli, malato da qualche mese.
Il Conclave che seguì si concluse con l'elezione di Montini, che assunse il nome di Paolo VI, il 21 giugno 1963. L'incoronazione si svolse in piazza San Pietro la sera di domenica 30 giugno 1963.
30 giugno 1963, il cardinale Alfredo Ottaviani mentre incorona Sommo Pontefice Paolo VI
Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, di fronte a un difficile rapporto chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell'umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune.
Non fu facile mantenere salda la Chiesa cattolica, mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo attaccavano con accuse di eccessivo modernismo e dall'altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano di immobilismo; ma un equilibrato giudizio non può nascondere le grandi doti di guida spirituale dimostrate dal pontefice.
Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all'uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi. Il cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, la acquistò con una sottoscrizione che superò il milione di dollari e da allora è conservata nella basilica dell'Immacolata Concezione di Washington. Eletto con un concilio in corso da portare a compimento, e con la non lieve eredità di innovazione comunicativa instaurata dal suo predecessore, Paolo VI vestì la tiara con onerose difficoltà e responsabilità iniziali.
Uomo mite e riservato, dotato di vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato a un'intensa vita spirituale, seppe proseguire il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, consentendo una riuscita prosecuzione del Concilio Vaticano II.
 
 
Il patriarca ortodosso Atenagora I incontrò Paolo VI nel1964. Il colloquio segnò un riavvicinamento tra il cristianesimo ortodosso e il cattolicesimo
Portò ottimamente a compimento il Concilio Vaticano II, con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo mondo e della pace. Da una parte appoggiò l'"aggiornamento" e la modernizzazione della Chiesa, ma dall'altra custodì i punti fermi della fede, che non dovevano subire in questo processo né ritrattazioni né mimetismi.
Particolarmente significativo fu il suo primo viaggio, in Terrasanta nel gennaio 1964. Per la prima volta un pontefice viaggiava in aereo, per la prima volta tornava nei luoghi della vita di Cristo, e durante questa visita abbracciò il patriarca ortodosso Atenagora I. Durante il viaggio indossò la Croce pettorale di San Gregorio Magno, conservata nel Duomo di Monza. L'accoglienza dei romani al suo ritorno fu trionfale.
Il 27 marzo 1965, Paolo VI in presenza di Sua Ecc.za Mons. Angelo Dell'Acqua, lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all'Archivio del Sant'Uffizio con la decisione di non pubblicare il contenuto. In questa lettera, vi era scritto il Terzo segreto di Fatima.
 
 
Stemma papale di Paolo VI
Durante tutto il suo pontificato, la tensione tra il primato papale e la collegialità episcopale rimase fonte di dissenso. Il 14 settembre 1965, anche per effetto dei risultati conciliari, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei Vescovi, escludendo però dall'ambito di questo nuovo organismo la trattazione di quei problemi riservati al papa, dei quali apprestò una ridefinizione.
Concluso il Concilio l'8 dicembre 1965, si aprì però un periodo difficilissimo per la Chiesa cattolica, attaccata da molte parti in un periodo storico e culturale di forte antagonismo ai valori tradizionali ed ampia diffusione delle idee marxiste anticlericali e fortemente laiciste. La società era attraversata da forti scontri e contrasti politici e sociali.
Celebre la sua frase: "Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta".
 
 
"Anello del Concilio", 6 dicembre 1965: Paolo VI offre un anello aureo semplice ai Padri conciliari: Cristo, Pietro e Paolo sotto la Croce
Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l'indice dei libri proibiti. A Natale celebrò la Messa in una Firenze ferita dall'alluvione del 4 novembre, definendo il Crocifisso di Cimabue «la vittima più illustre». Nel 1967 annunciò l'istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta il 1º gennaio 1968.
Il tema del celibato sacerdotale, sottratto al dibattito della quarta sessione del concilio, divenne oggetto di una specifica enciclica, la Sacerdotalis Caelibatus del 24 giugno 1967, nella quale papa Montini riconfermò quanto decretato in merito dal Concilio di Trento.
Molto più complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica.
Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un'epoca in cui il cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, ha appannato la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente si guadagnò il nomignolo di Paolo Mesto. Tuttavia Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che:
« è contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede »
La notte di Natale del 1968 Paolo VI si recò a Taranto e celebrò la messa di mezzanotte nelle acciaierie dell'Italsider: fu la prima volta in assoluto che la messa di Natale venne celebrata in un impianto industriale. Con questo gesto il pontefice volle rilanciare l'amicizia tra Chiesa e mondo del lavoro in tempi difficili.
1968: l'enciclica Humanae Vitae [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Humanae Vitae.
Una delle questioni più rilevanti, per la quale papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio, fu quella della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.
Il Pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio, lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento. Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell'ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò e perfezionò.
La decisione sul da farsi era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa in argomentazioni non strettamente legate alla dottrina. Tuttavia il Papa non mancò di sottolineare, davanti a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.
Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma tuttavia è da ricordare che una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali andasse a violare la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Paolo VI appoggiò quest'idea e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell'enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di origine chimica o artificiale:
« Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. [...] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell'uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. »
(Paolo VI, Humanae vitae)
Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice:
« In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all'ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete. »
Questa decisione di papa Montini non riscosse grande favore e ci furono molte critiche, soprattutto da parte di laici. Nonostante tutto, Paolo VI non ritrattò mai neppure una parola dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:
« Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo "una medicina" diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere. »
(J. Guitton, Paolo VI segreto)
Stati visitati da Paolo VI
Paolo VI fu il primo papa a viaggiare in aereo: volò per raggiungere terre lontanissime, come nessuno dei suoi predecessori aveva ancora fatto; è stato il primo papa a visitare tutti i cinque continenti.
Questi i paesi esteri visitati durante il pontificato:
4 - 6 gennaio 1964: Pellegrinaggio in Terra Santa
2 - 5 dicembre 1964: Pellegrinaggio in India in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale
4 - 5 ottobre 1965: Visita alle Nazioni Unite di New York
13 maggio 1967: Pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Fatima
25 - 26 luglio 1967: Viaggio apostolico a Istanbul, Efeso e Smirne. In questa occasione avvenne lo storico incontro con il patriarca Atenagora I
21 - 25 agosto 1968: Viaggio apostolico a Bogotá
10 giugno 1969: Visita a Ginevra in occasione del 50º anniversario dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro
31 luglio - 2 agosto 1969: Pellegrinaggio in Uganda
25 novembre - 5 dicembre 1970: Pellegrinaggio in Asia Orientale, Oceania e Australia
Questi, invece, i pellegrinaggi in Italia:
10 giugno 1965: Visita alla città di Pisa in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale
24 aprile 1970: Pellegrinaggio al Santuario Mariano di Nostra Signora di Bonaria di Cagliari
Durante il viaggio in Estremo Oriente, il pontefice fu fatto bersaglio nelle Filippine di un attentato da parte di uno squilibrato munito di pugnale, dal quale uscì indenne: Paul Marcinkus, incaricato di organizzare i viaggi, deviò il pugnale con cui un uomo aveva tentato di colpirlo.
1970-1978 [modifica]
 
 
Paolo VI all'uscita dall'udienza generale del 29 giugno 1978, un mese prima della morte
Il 16 settembre del 1972 Paolo VI fece una breve visita pastorale a Venezia durante la quale incontrò l'allora patriarca Albino Luciani e celebrò la Messa in piazza San Marco; al termine della celebrazione papa Montini si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e successivamente la mise sulle spalle del patriarca Luciani davanti alla piazza, facendolo imbarazzare visibilmente. Il gesto del Pontefice, inteso da molti come "profetico", non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento, ma fu documentato da numerose fotografie.
Il 24 dicembre 1974 Paolo VI inaugurò l'Anno santo del 1975. Durante la cerimonia di apertura della porta santa, in diretta televisiva con la regia di Zeffirelli, pesanti calcinacci si staccarono e caddero sul papa.
Il 17 settembre 1977 Paolo VI si recò nella città di Pescara in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale. Fu una delle sue ultime visite fuori dal territorio romano, ma rimase impressa nel ricordo dei presenti per un curioso avvenimento. In una intervista rilasciata in occasione del XXX anniversario di quell'evento, Mons. Antonio Iannucci, allora titolare dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne, così ricorda l'arrivo del Pontefice sul luogo previsto per le Celebrazioni Eucaristiche (la grande Rotonda in riva al mare):
« “Appena Pietro salì sulla barca il vento cessò” - racconta il Vangelo - e così avvenne anche a Pescara. Fino a qualche istante prima il cielo era piovoso, ma con l'arrivo del Papa alla Rotonda la pioggia cessò e apparve un meraviglioso arcobaleno. »
Il giornalista Giuseppe Montebello racconta l'accaduto con maggiore abbondanza di particolari:
« Il Papa arrivò a Pescara sotto una pioggia battente, ma al Pontefice non mancò l'entusiasmo, l'esultanza e la commozione della gente. Alla Rotonda, poi, ci fu un'autentica esplosione di devozione e di affetto al Vicario di Cristo. Indossati i paramenti per la celebrazione della Messa, mentre il Papa stava per salire sull'altare, la pioggia cessò di cadere e, dietro il palco, gremito di autorità, cardinali, vescovi e sacerdoti, sbucò, nel mezzo del Mare Adriatico, uno stupendo arcobaleno nel cielo, all'improvviso, diventato azzurro! »
Durante il Sequestro Moro, il 16 aprile 1978 Paolo VI implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione "senza condizioni" dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli "uomini delle Brigate Rosse" alcune settimane prima.
Ma a nulla valsero le sue parole: il cadavere di Aldo Moro venne ritrovato il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una Renault color amaranto, in Via Caetani a Roma, a pochi metri dalle sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.
La salma di Moro fu portata dalla famiglia a Torrita Tiberina per un funerale riservatissimo; ma il 13 maggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza di tutte le autorità politiche, si celebrò un rito funebre in suffragio dell'onorevole, al quale prese parte anche il Romano Pontefice. Ci fu chi eccepì, soprattutto nella Curia, che non rientra nella tradizione che un papa partecipi a una messa esequiale, soprattutto se di un uomo politico (si cita, a proposito, il caso di Alessandro VI che non partecipò nemmeno ai funerali del figlio Giovanni), ma Paolo VI non mostrò interesse verso queste critiche. Il Papa, provato dall'evento, recitò un'omelia ritenuta da alcuni una delle più belle nella storia della Chiesa moderna[senza fonte], un testo quasi poetico che rientra nello stile personale, tormentato e colto, di papa Montini.
 
Il suo stato di salute si deteriorò da allora progressivamente e tre mesi dopo, il 6 agosto 1978 alle 21,40 si spense nella residenza di Castel Gandolfo a causa di un edema polmonare.
Lasciò un testamento (reso noto il 10 agosto) nel quale confida le sue paure, la sua esperienza di vita, le sue debolezze, ma anche le proprie gioie per una vita donata al servizio di Cristo e della Chiesa. Chiese un funerale sobrio, senza riti particolari. Lasciò scritto infatti circa i suoi funerali:
« [...] siano pii e semplici [...] La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me. »
( Paolo VI, Testamento)
La sua bara fu semplicissima, senza decori, di legno chiaro, deposta a terra sul sagrato di Piazza San Pietro; sopra di essa, un Vangelo aperto e sfogliato dal vento. Fu la prima volta che un funerale di un Pontefice si svolse con un rito così sobrio. Sarà lo stesso per i suoi due successori, i quali non mancheranno mai di richiamarsi a Paolo VI e citarlo come loro guida spirituale nell'esercizio dell'attività pontificale.