Messaggio per la Quaresima 2012 di Benedetto XVI

27.02.2012 12:45

 

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, 
per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» 
(Eb 10,24) 
Fratelli e sorelle, 
la Quaresima ci offre ancora una volta l’opportunità di riflettere sul cuore della vita 
cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l’aiuto della Parola di Dio 
e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. È un 
percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di 
vivere la gioia pasquale. 
 Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto 
dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella 
carità e nelle opere buone» (10,24). È una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro 
esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e 
l’accesso a Dio. Il frutto dell’accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù 
teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 
22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nell’attenzione costante 
ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per 
sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di 
preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 
25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento prezioso e 
sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l’attenzione all’altro, la reciprocità e la santità 
personale. 
1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello. 
 Il primo elemento è l’invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è katanoein, che 
significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. 
Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, 
che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 
12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio  occhio prima di guardare alla 
pagliuzza nell’occhio del fratello (cfr  Lc  6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della 
stessa  Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1), l’apostolo e 
sommo sacerdote della nostra fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a 
fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a 
non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale 
l’atteggiamento contrario: l’indifferenza,  il disinteresse, che nascono dall’egoismo, 2
mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la 
voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell’altro. Anche oggi Dio ci 
chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni caratterizzate 
da premura reciproca, da attenzione al  bene  dell’altro e a  tutto  il suo bene. Il grande 
comandamento dell’amore del prossimo esige e  sollecita la consapevolezza di avere una 
responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in 
molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo 
infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così 
come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo 
di Dio Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: 
«Il mondo è malato. Il suo male risiede meno  nella dilapidazione delle risorse o nel loro 
accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i 
popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66). 
L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli 
aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del 
bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è 
«buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la 
fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il 
bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello 
vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo 
di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze 
altrui. L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi di 
questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo. In  quella del buon Samaritano, il 
sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti all’uomo derubato e percosso 
dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest’uomo sazio di beni non si 
avvede della condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 
16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare attenzione», del 
guardare con amore e compassione. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole 
verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto 
i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere 
misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre 
cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l’umiltà di 
cuore e l’esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore 
alla compassione e all’empatia: «Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece 
non intende ragione» (Pr  29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel 
pianto» (Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del 
dolore altrui. L’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di 
salvezza e di beatitudine. 
Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene 
spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in 
oblio:  la correzione fraterna in vista della salvezza eterna.  Oggi, in generale, si è assai 
sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace 
quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi 
tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la 
salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella 
Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e 3
diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo 
stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt  18,15). Il 
verbo usato per definire  la correzione fraterna -  elenchein  - è il medesimo che indica la 
missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male 
(cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale 
quella di «ammonire i peccatori». È importante recuperare questa dimensione della carità 
cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani 
che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto 
che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la 
verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da 
spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso  sempre dall’amore e dalla misericordia e 
sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene 
sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu 
vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato 
di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per 
camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la 
Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). È un grande servizio quindi 
aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per  migliorare la propria vita e 
camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama 
e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa 
Dio con ciascuno di noi. 
2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità. 
Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla 
sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta 
morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda 
sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere 
nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla 
edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 
15,2), senza cercare l’utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 
10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere 
parte della vita della comunità cristiana. 
I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione 
che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l’altro mi 
appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui 
un elemento molto profondo della comunione: la nostra esistenza è correlata con quella degli 
altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una 
dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico  di Cristo, si verifica  tale reciprocità: la 
comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si 
rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si 
dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre» (1 Cor 12,25), afferma San 
Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione 
l’elemosina - tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno - si radica in 
questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni 
cristiano può esprimere la sua partecipazione all’unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli 
altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare 
con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi 4
figli. Quando un cristiano scorge nell’altro l’azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e 
dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16).  
3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: camminare insieme nella 
santità. 
Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata 
universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più 
grandi e a una carità sempre  più alta e più feconda (cfr  1 Cor  12,31-13,13). L’attenzione 
reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la 
luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr  4,18), in attesa di vivere il 
giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e 
compiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per 
giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si 
situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell’amore e 
delle buone opere. 
Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del 
rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s). 
Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili  per il compimento del piano 
divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr  Lc  12,21b;  1 Tm  6,18). I 
maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e 
sorelle, accogliamo l’invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» 
(GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza 
della Chiesa nel riconoscere e proclamare la  beatitudine e la santità di taluni cristiani 
esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: 
«gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). 
Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e 
di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel 
servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo 
santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido 
all’intercessione della Beata Vergine Maria  e di cuore imparto a tutti la Benedizione 
Apostolica. 
Dal Vaticano, 3 novembre 2011 
BENEDETTO XVI
 
 
 
 
 
Come sempre il Santo Padre è illuminante e richiama il nostro cuore e la nostra mente all'essenzialità della fede... con questo messaggio vi auguro buona quaresima. Luigi